Si tratta del più grande conflitto del Mediterraneo nell’epoca moderna. Tante furono le designazioni sullo scontro, definito uno scontro tra civiltà e fine del dominio ottomano. Fu quindi un evento colossale nella memoria collettiva, ma non è facile da soppesare e inquadrare storicamente, al di là delle semplificazioni dei luoghi comuni. Lo scontro era stato propagandato come un classico “Noi contro loro”. Tre le potenze coinvolte: Spagna di Filippo II, Impero Veneziano e quello Ottomano. Lo scontro tra Civiltà Cristiana e quella Mussulmana era una voce in parte retorica dato che il sultano aveva molti sudditi cristiani e gran parte dei marinai erano greci cristiani. Questi stati si “odiano cordialmente” e la fede religiosa in realtà non conta. Una propaganda che ricorda da vicino la battaglia degli Stati Uniti post 11 settembre contro l’islamismo terrorista, uno “scontro tra civiltà” che nasconde ben più concreti interessi strategici. Una battaglia che, tra mito e realtà, ha una lezione da tramandare.
Veneziani e Ottomani: due galli nel pollaio
Nonostante la rivalità commerciale che correva soprattutto via mare, Venezia e Costantinopoli convivevano pacificamente ma intorno al 1569, l’ambasciatore veneziano in Oriente, solitamente pacato, cominciò a mandare messaggi tesi. Qualcosa effettivamente bolliva in pentola: i Turchi si armavano con l’obbiettivo di chiedere a Venezia di cedere Cipro, estremo lembo a Est del dominio veneziano. La Repubblica Marinara aveva una struttura feudale che sfruttava a piene mani l’assoggettamento contadini e questo portò sull’isola a tensioni tra contadini ortodossi e dominatori cristiani. I Turchi volevano Cipro che era stata mussulmana in passato e Venezia pagava addirittura un tributo in oro per mantenere il proprio dominio sul territorio insulare, ponte ideale per gli scambi commerciali con il Mediterraneo orientale. Il sultano però a un certo punto cambiò idea, non solo perché c’era un’enclave veneta nella propria sfera d’influenza ma anche perché fungeva da base per i pirati cristiani che attaccano a Oriente. I Turchi chiesero Cipro a Venezia con la diplomazia, ma non funzionò. Accettare avrebbe significato abdicare al ruolo di potenza autorevole. I Veneziani si consideravano la maggiore potenza navale mediterranea e a contendergli il primato c’era proprio l’Impero Ottomano.
L’intensificazione delle ostilità e nascita della Lega Santa
Le ostilità vere e proprie vennero anticipate da una gara dove i due rivali “mostravano i muscoli” in una corsa tra chi dimostrava di poter mettere in mare più galee. I Turchi sbarcano a Cipro e non trovano resistenza un po’ perché i Veneziani erano decimati dal tifo, un po’ perché erano ben visti dalla popolazione. Con l’Assedio di Famagosta, avvenuto per quasi un anno tra il 1570 e il 1571, l’isola passò così in mano ottomana. La guerra infastidiva più parti e i negoziati sottobanco proseguirono febbrilmente: si temeva che il conflitto potesse minare gli equilibri marittimi facendo pendere la bilancia nettamente a favore dei Turchi. Non si trovò altra soluzione che stipulare un’alleanza dove rientravano Veneziani e Spagnoli, i quali si detestavano cordialmente. Infatti, sebbene tra Oriente e Occidente gli scambi di persone, merci, denaro e tecniche non cessassero mai e anzi si mantennero vivaci, il crescente dinamismo e espansionismo ottomano in quegli anni preoccupava sempre più i governi dell’occidente europeo e mediterraneo: esso minacciava non solo i possedimenti veneziani come Cipro, ma anche gli interessi spagnoli per via della pirateria turca che infestava il Mediterraneo. Consapevole di questa crescente tensione, Papa Pio V ritenne che il momento fosse propizio per coalizzare le forze della cristianità, all’epoca divise: nacque così la Lega Santa. I Turchi avevano un obbiettivo ormai conclamato: smantellare l’odiata Venezia. Il Re di Spagna accettò così di unirsi alla Lega, in un contesto in cui c’era una fitta corrispondenza tra i regnanti cristiani. Il Regno di Filippo II, oltre alla Spagna, comprendeva i possedimenti italiani, i Paesi Bassi, la Franca Contea (zona dell’attuale Francia Orientale), i Paesi Bassi e le colonie americane. I Turchi, ormai decisi a portare avanti le ostilità, saccheggiarono territori veneziani, facendo scorrerie a Creta, nelle isole ionie e penetrando inoltre nell’Adriatico.
I preparativi
Le galee spagnole vennero costruite in Sud Italia, in quanto la Spagna era quasi del tutto disboscata. La squadra di operai incaricati di Barcellona scoprì di essere a corto di remi, così vennero ordinati a Napoli. La Lega ebbe inizialmente difficoltà a procurarsi abbastanza uomini e galere, remi e imbarcazioni furono ordinati a Napoli, poi si salpò. Le galere venivano fatte, poi tenute in secca e quando servivano si cercava personale. L’arsenale di Venezia era la più grande realtà industriale d’Europa e del Mediterraneo, con artigiani non assunti a tempo pieno che vengono chiamati al momento del bisogno, il governo lagunare siglava accordi con corporazioni, concedendo grossi privilegi agli artigiani. Esso così aveva dalla sua il controllo sulla forza lavoro degli artigiani, i quali erano tenuti a lasciare immediatamente la bottega in caso di necessità. L’arsenale di Costantinopoli era il secondo al mondo dopo quello veneziano, con la differenza però che i Turchi pagavano manodopera da Occidente, più precisamente dai Greci. Si trattò quindi di uno scontro anche industriale.
La battaglia
Il 7 ottobre 1571 avvenne lo scontro frontale a largo di Lepanto, nome medievale della cittadina di Naupatto nella Grecia Occidentale, sul Mar Ionio. Il conflitto passò alla Storia come Battaglia di Lepanto ma anche come Battaglia delle Echinadi o Curzolari. Da una parte stavano la Repubblica di Venezia, l’Impero di Spagna, lo Stato della Chiesa, il Ducato di Savoia, il Ducato di Urbino, il Granducato di Toscana, l’Ordine di Malta. Marinai italiani, spagnoli e tedeschi combatterono fianco a fianco sulle acque del Mar Egeo. Viste quindi le forze schierate in mare la Lega Santa ebbe una connotazione marcatamente europea. L’ammiraglio e generale Don Giovanni d’Austria guidò una flotta costituita da 209 galere, 6 galeazze e 34 navi a vela.
Dall’altra parte c’erano gli uomini del vasto e potentissimo Impero Ottomano. Per la Turchia Mehmet Alì Pascià poteva contare su 222 galere e 60 galeotte.
Le galere (chiamate anche galee) erano navi sia a vela e che a remi, strette e carichissime di uomini. A partire dal Medioevo la galea aveva abbandonato il rostro per affondare le navi, tanto è vero che il diffuso miglioramento delle tecniche costruttive faceva sì che il tentativo di speronamento di una nave nemica comportava danni ad entrambe le imbarcazioni: sia chi attaccava sia chi veniva attaccato rischiava di affondare. Per questo già dopo il XV secolo il bompresso, un albero montato a prua, sostituì il rostro costituendo così l’attacco per la vela di trinchetta, tuttavia il bompresso stesso necessitava di abili navigatori affinché non venisse rotto. La galera costituiva inoltre uno strumento duttile capace di spostarsi in qualsiasi condizione grazie alla doppia modalità di locomozione: nel Mediterraneo ci si può facilmente imbattere in bonacce improvvise, le navi da guerra invece non possono aspettare che le acque si calmino.
I Turchi non indossavano armature, al contrario dei membri della flotta della Lega Santa che invece ne erano provvisti. I Cristiani potevano contare anche su un maggior numero di cannoni e ben presto si mostrarono più freschi e i Turchi logori. “È la volta che spezzeremo le corna a quella indomita bestia” diceva Papa Pio V. In effetti la consapevolezza della vittoria si faceva largo nella flotta occidentale. In questo scontro i cristiani conquistano le galere nemiche uccidendo o buttando a mare. Alcune galere algerine si salvano: gli Algerini, schierati appunto dalla parte degli Ottomani, erano abili e astuti navigatori. In risposta all’attacco turco l’ala destra Cristiana, agli ordini di Gian Andrea Doria, si staccò dallo schieramento dell’alleanza, caricandosi per alcune ore la pressione del nemico a ranghi ridotti. Il frazionamento delle forze in campo si rivelò un’arma vincente per le fila occidentali. Nello scontro persero la vita lo stesso Alì Pascià e Agostino Barbarigo, comandante dell’ala destra della coalizione. La pesante sconfitta turca spense le mire espansionistiche a Ovest dell’Impero Ottomano, ma non intaccò il suo status di potenza economica e militare.
Conclusioni
Nonostante le grandi proporzioni dello scontro e il posto occupato nell’immaginario collettivo la battaglia non ebbe conseguenze politiche e militari: Venezia e Impero Ottomano restarono le due principali potenze dell’epoca e continuarono a dividersi le rotte commerciali del Mar Mediterraneo senza che gli sconfitti ne rimanessero infiacchiti, tanto che nel 1573, al termine della Guerra di Cipro, la contesa isola mediterranea passò definitivamente sotto il dominio ottomano. Tuttavia dalla parte di Venezia stavano non solo gran parte dell’Italia ma anche dell’Europa con lo sconfinato impero di Carlo V. L’epica battaglia nonostante tutto può considerarsi una dimostrazione di quanto grande possano essere la forza e le potenzialità degli Europei se collaborano genuinamente tra loro, senza manipolazioni esterne e secondi fini, e se rinunciano a ostacolarsi vicendevolmente come troppe volte è accaduto nella Storia.
Si ringrazia l’Avv. Michele Maria Gambini per lo spunto offerto alla base dell’idea della stesura dell’articolo.
Riferimenti
Autori vari, Grande Enciclopedia De Agostini, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1996
https://www.nautica.it/