Scuola di massa tra propaganda e ingegneria sociale

Scuola di massa tra propaganda e ingegneria sociale

La scuola è il luogo deputato all’istruzione, cioè il luogo dove i bambini vengono preparati all’età adulta e alla società. La principale funzione della scuola da un lato è quella di soddisfare la domanda di qualificazione proveniente dal mondo del lavoro, ed essa lo fa fornendo le competenze necessarie a svolgere le occupazioni più strategiche sul mercato del lavoro. Dall’altro lato la scuola pone le fondamenta del perpetuarsi di una struttura gerarchica dove lo status quo possa essere conservato. Con la diminuzione della richiesta del lavoro specializzato per via dell’automatizzazione la scuola ha visto venire meno la sua funzione effettiva di luogo di trasmissione di conoscenze, vedendo collateralmente calare il suo prestigio sociale, divenendo improvvisamente scomoda in molti Paesi occidentali, aprendosi direttamente a funzioni di propaganda.

Come funziona la scuola

La scuola per antonomasia è l’ambiente dove i bambini e i ragazzi devono apprendere le nozioni culturali di base per essere cittadini consapevoli, capaci di trovare attivamente il proprio posto nella società. Dovrebbe essere luogo dedito alla coltivazione delle facoltà intellettive e all’amore per il sapere. A conti fatti essa però riesce a soffocare l’innata curiosità e la voglia di imparare che sono presenti in tutti noi da bambini. Promuove un conformismo insensato e ignora opportunamente il fatto che ogni individuo è unico, con talenti, inclinazioni e aspirazioni diverse. “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido” disse ironicamente a proposito il celebre fisico Albert Einstein. Il motivo di questo aspetto controintuitivo è da ricercare alle origini della scuola moderna. La capacità di trovare soluzioni ai problemi ragionando al di là dei consueti schemi di pensiero, il cosiddetto pensiero laterale, cala drasticamente nei bambini man mano che il loro percorso scolastico va avanti. Secondo il primo commissario americano per l’educazione William T. Harris, “Le scuole sono state progettate scientificamente per impedire un’educazione eccessiva. L’americano medio avrebbe dovuto essere contento del suo umile ruolo nella vita, poiché non tentato a pensare a nessun altro ruolo”. Sosteneva che in ogni nazione civile il 99% delle persone sono degli automi, attenti a camminare su percorsi prestabiliti e seguire i dettami della società, e che questo era il risultato dell’educazione. Secondo Harris, l’obiettivo principale della scuola è quello di alienare l’individuo da se stesso e di assoggettare l’individuo a favore del collettivismo. L’identità individuale deve dunque fondersi con quella del gruppo. L’individuo viene letteralmente trasformato in un ingranaggio del sistema. Alienati da se stessi, i bambini sarebbero stati deprivati del loro potere personale. Inoltre, questo serviva per svolgere un lavoro di per sé alienante nell’età adulta, portando a a vere una vita interiore impoverita, che faciliterebbe l’utilizzo di sostanze stordenti come alcol e droghe come facile via di fuga. Alla luce di questo può stupire meno che il processo di apprendimento avviene in un contesto irreggimentato dove i bambini e i ragazzi devono reprimere la loro energia stando seduti almeno 5 ore al giorno con una sola pausa di qualche minuto, dove perfino per andare al bagno si deve chiedere il permesso all’autorità. Autorità che si insegna a riconoscere, significativamente nel 1962 Luigi Tenco cantava “Cara maestra, un giorno m’insegnavi che a questo mondo noi, noi siamo tutti uguali ma quando entrava in classe il Direttore  tu ci facevi alzare tutti in piedi, e quando entrava in classe il bidello ci permettevi di restar seduti”. Il voto diventa uno strumento di premio o punizione, spesso utilizzato come mezzo di ricatto per mantenere la disciplina. In questa visione la famiglia, la tradizione, la religione e le culture locali sono d’intralcio perché si frappongono tra le direttive dello Stato e gli individui, trasmettendo altri concetti sociali non sempre in linea con i diktat di chi detiene il potere. Riguardo le reali finalità  della scuola si è espresso anche il giornalista e saggista statunitense Henry Louis Mencken, che in American Mercury scrisse: “Riempire i giovani di conoscenza e risvegliare la loro intelligenza… Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. L’obiettivo… è semplicemente quello di ridurre quante più persone possibili allo stesso livello, allevare e formare una cittadinanza standardizzata, con lo scopo di reprimere qualsiasi dissenso e originalità. Questo è il suo obiettivo negli Stati Uniti… e questo è il suo obiettivo ovunque”.

Sistema educativo
Il sistema educativo comune in una celebre vignetta dove l’insegnante dichiara: “Per un’equa selezione ognuno deve affrontare lo stesso esame: per favore arrampicatevi su quell’albero”.

Scuola e disuguaglianze sociali

La scuola è stata sovente paragonata a un’ospedale che respinge i malati e accetta solo sani, puntando l’accento sul fatto che tenda a premiare chi proviene già da classi socio-economiche privilegiate, mentre chi viene da contesti più svantaggiosi più spesso non riesce a emanciparsi dalla propria condizione. Una interpretazione più radicale è quella degli economisti statunitensi Samuel Bowles e Herbert Gintis che in “L’istruzione nel capitalismo maturo” (1976) affermarono che l’istruzione non è una sfera neutrale, ma un ambito nel quale vengono riprodotte le esigenze del capitalismo al fine di favorire la creazione di atteggiamenti che preparino i giovani a svolgere un lavoro alienante in età adulta, perpetuando così le disuguaglianze sociali. Il miglior indizio sul futuro di un bambino è la condizione economica dei genitori e non tanto il rendimento scolastico o l’intelligenza. La funzione primaria dell’istruzione non sarebbe, secondo i due ricercatori, quella di insegnare le competenze necessarie nel mondo del lavoro ma quella di inculcare nei bambini il cosiddetto “curriculum nascosto”. I figli degli operai apprendono così qual è il loro posto nella società, quali sono le qualità apprezzate e ricompensate – l’abnegazione, il rispetto dell’autorità, la puntualità, la docilità, la passività, l’obbedienza – e quali quelle non gradite, come la creatività e il pensiero indipendente. Bowles e Gintis riscontrarono anche una corrispondenza tra i rapporti sociali gerarchici nel sistema scolastico (preside/ insegnanti/alunni) e quelli propri del mondo del lavoro nelle gerarchie aziendali (le cui dinamiche sono state ironicamente messe alla berlina nella celebre saga di Fantozzi).  Sia l’istruzione che il lavoro, inoltre, secondo l’analisi dei due studiosi, sono concepite come attività puramente “strumentali che vengono svolte non per il piacere o il senso di realizzazione personale, ma per ottenere ricompense (voto, salario) o per evitare punizioni (bocciatura, licenziamento). La spietata competizione nel mondo del lavoro, dove gli arrivisti sgomitano per fare carriera e si creano ambienti tossici tra colleghi, corrisponde a una a volte feroce competizione fra gli studenti causata dal sistema di valutazione. La scuola, per Bowles e Gintis, insegna ai bambini che le disuguaglianze sociali sono giuste e necessarie, e pertanto l’istruzione può essere considerata una forma di controllo sociale.

Standardizzazione del sistema educativo in una vignetta
Standardizzazione del sistema educativo in una vignetta

 

L’indottrinamento dei bambini ha infatti condotto a un ordine sociale controllato da una ristretta cerchia di persone. Non a caso le fondazioni private hanno fatto da apripista e si sono insinuate in ogni ambito per quanto concerne il disegno e la definizione del sistema scolastico. Si può dire che logica industriale ha ampiamente favorito la scolarizzazione forzata, tenendo presente che accanto a esigenze di carattere puramente economico c’è la volontà di delineare un certo modello sociale.  In tal senso, alcune fondazioni private degli Stati Uniti d’America hanno fatto da apripista e si sono insinuate in ogni ambito per quanto concerne il disegno e la realizzazione dell’istruzione scolastica. Nel suo libro Social control del 1901 il sociologo Edward A. Rosslo mise chiaramente nero su bianco che “sono in corso piani per sostituire la comunità, la famiglia, la chiesa con la propaganda, l’educazione, i mass media”.  Emergerebbe poi che le Fondazioni Ford, Rockefeller e Carnegie avrebbero fortemente investito  in progetti alla Columbia University, ad Harvard, all’University of Chicago e all’University of California per indirizzare lo sviluppo dell’struzione. La politica che si celava dietro la nuova pedagogia era deliberatamente creata lontano dallo sguardo pubblico, all’interno degli uffici delle corporazioni. Non si discuteva molto circa il perché la scuola avesse assunto l’aspetto e il funzionamento  noti. Louis Alber, direttore esecutivo della National Education Association, disse che la sua organizzazione si aspettava di realizzare attraverso l’educazione il fine che in Europa i dittatori stavano cercando di raggiungere con la forza. Nel 1953 lo psicologo Burrhus Frederic Skinner pubblicò Science and Human Behavior, dove dichiarò che “Il condizionamento operante modella il comportamento umano come uno scultore modella un pezzo di argilla”. Nel 1948 lo stesso autore pubblicò Walden two, dove si raccomanda interventi radicali come il fatto che i bambini dovessero essere allevati dallo Stato e addestrati dalla nascita a mostrare solo caratteristiche e comportamenti desiderati. Come scrisse Bloom “l’obiettivo dell’educazione e delle scuole è cambiare il modo di pensare, i sentimenti e le azioni degli studenti”. Si tratterebbe dunque soprattutto di imporre un condizionamento psicologico in cui l’obiettivo sarebbe quello di manipolare le opinioni e le abitudini delle persone, iniziando, come già visto, a eliminare la capacità di pensiero critico e indipendente nei bambini e deprivandoli della loro volontà personale.  Sulla progressiva perdita di curiosità e vivacità intellettuale dei ragazzi l’astronomo e divulgatore scientifico statunitense Carl Sagan disse: “Se andate a parlare con i bambini dell’asilo o della prima elementare, troverete classi piene di appassionati di scienza. Fanno domande profonde. Chiedono: ‘cos’è un sogno, perché abbiamo le dita dei piedi, perché la luna è rotonda, qual è il compleanno del mondo, perché l’erba è verde?’ Sono domande profonde e importanti. Vengono fuori da sole. Se andate a parlare ai ragazzi dell’ultimo anno delle superiori, non c’è nulla di tutto questo. Non sono più curiosi. Tra l’asilo e l’ultimo anno delle superiori è successo qualcosa di terribile”.

Il moderno condizionamento della società americana, che fece da modello apripista a quelle di molti altri Paesi occidentali,  iniziò applicando gli assunti dello psicologo John Dewey,  considerato il “padre dell’educazione progressista”. Dewey partì da principi psicologici elaborati da Wilhelm Wundt, sostenendo che attraverso un approccio stimolo-risposta gli studenti avrebbero potuto essere condizionati a accettuare e perpetuare un designato ordine sociale.  Questo riprende da vicino i risultati di un noto esperimento dell’etologo russo Ivan Pavlov  sul riflesso condizionato, per cui associando ripetutamente la presentazione di carne ad un cane con un suono di campanello, alla fine il solo suono del campanello determinerà la salivazione nell’animale. Il magnate Paul Mazur  già nel 1927 dichiarò: “Dobbiamo cambiare l’America da essere una cultura dei bisogni, ad essere una cultura dei desideri. Bisogna insegnare alla gente a volere cose nuove, anche prima che le cose vecchie siano state consumate del tutto. Dobbiamo formare una nuova mentalità in America. I desideri dell’uomo devono mettere in ombra le sue necessità”. Per essere ricettivi  nei confronti degli stimoli capaci di generare questi bisogni somministrati è necessario possedere un certo livello generale di istruzione, che però non debba essere così elevato da favorire il mettere in discussione l’ordine precostituito. Secondo il filosofo della Scuola di Francoforte Herbert Marcuse i bisogni falsi, quelli che verrebbero indotti da questo sistema vizioso, sono quelli che vengono imposti all’individuo per garantire interessi sociali particolari e che quindi permettono il perpetuarsi della propria repressione. Si tratterebbe di quelli che, dopo un’iniziale gratificazione, comportano il perdurare di aggressività, fatica povertà e ingiustizia. 

Educazione al consumismo e possibili alternative

La produzione di massa richiedeva quindi un consumo di massa, ma agli inizi del XX secolo gli americani acquistavano in base alle necessità e non erano inclini a comperare ciò di cui non avevano bisogno. L’allargamento dell’obbligo scolastico ebbe un ruolo in questa trasformazione, operando in collaborazione con i mass media. Non c’era bisogno di addestrare i bambini in modo che diventassero degli ottimi consumatori, era molto meglio incoraggiarli a non pensare proprio. Le categorie di persone che possono essere più facilmente convinte ad acquistare di più sono significativamente i bambini e chi soffre di dipendenze, trovando così nel’acquisto compulsivo un palliativo del proprio squilibrio emotivo.  Nel 1948, in Science and the moral life Max Otto trattò il grande coinvolgimento delle grandi aziende dietro le quinte del sistema scolastico.  Questo avvenne in concomitanza con la Seconda Rivoluzione industriale, che diede una spinta decisiva alle capacità produttive dell’industria, creando così nuovi margini di ricavi. Si instaurava una produzione di massa che non poteva essere limitata a soddisfare la domanda ma invece impose l’offerta sui desideri umani. In buona sostanza, era questa nuova realtà che spiegava la manipolazione commerciale della scuola.  Si trattava dunque di educare i bambini all’obbedienza e non più di essere responsabili per il loro apprendimento. L’intenzione della scuola è dunque cambiata dall’insegnare l’alfabetizzazione e trasmettere una cultura di base legata a finalità di ingegneria sociale. L’obbiettivo era la modifica del comportamento dell’individuo quale membro della nuova società industrializzata. L’allievo non doveva invero essere preparato a diventare un cittadino adulto effettivamente libero, indipendente e consapevole. Nella classe non si sarebbe più prodotta la conoscenza attravero una conquista viva e coinvolgente ma un carico di informazioni da digerire così come vengono somministrate. “La conoscenza non è riempire un vaso ma accendere un fuoco” sostenne significativamente la pedagoga Maria Montessori, che elaborò un modello didattico che andava in un’altra direzione che non a caso è stato accantonato. L’intellettuale austriaco Rudolf Steiner sviluppò assunti affini a quelli dell’insegnante italiana e questi vengono applicati in istituti esclusivi chiamati scuole Waldorf o Steineriane. Il Metodo Steineriano pone l’attenzione sulle fasi di sviluppo del bambino e del ragazzo, dando molta importanza alla creatività e alla libera espressione delle inclinazioni artistiche. Di contro, nel modello scolastico che si diffuse, lo spirito critico e lo sviluppo di nuove idee non dovevano essere incoraggiati, bisognava invece premiare la semplice ripetizione. L’obiettivo era quello di rimpiazzare la concezione di stile di vita autonomo con l’idea di cercarsi un lavoro da dipendente. La produzione doveva essere nelle mani di pochi: i bambini avrebbero dovuto prepararsi a diventare dei futuri consumatori e per ottenere il risultato bisognava incentivare un’attitudine passiva. La scuola era una soluzione perfetta e la pedagogia di allora divenne un veicolo ottimale per impiantare abitudini e atteggiamenti per raggiungere il fine desiderato. Il lungo periodo di reclusione avrebbe soffocato lo spirito d’inizativa gli interessi dell’individuo. La vita interiore e l’immaginazione del ragazzo tende ad essere inibita da un pesante e asettico nozionismo ed esercizi di memorizzazione fini a se stessi, mentre la valutazione dell’apprendimento si prestava, come precedentemente osservato, a diventare un sistema di punizioni e ricompense. Le lezioni frontali risultano essere poco coinvolgenti e quindi spesso noiose. In un clima che allo stesso tempo spesso di stress per la condizione di sentirsi costantemente sotto esame e soffocati dalle pressioni, aspetto che Bowles e Gintis descrissero attentamente, si promuove indirettamente una competizione interna tra gli studenti, a discapito di un clima collaborativo, favorno così un dividi et impera, favorevole dalla notte dei tempi a chi vuole tenere saldamente le redini di una società.

La scuola

Propaganda in aula

In questo contesto bisogna tuttavia riconoscer alla scuola di aver diffuso un’alfabetizzazione di massa  e aver permesso a una parte della popolazione, seppur numericamente trascurabile, un’avanzamento delle condizioni economiche e sociali.  Il sistema d’istruzione ha formato figure professionali specializzate fortemente polarizzate su un ambito tecnico-scientifico, utili alle esigenze della società industrale. Tuttavia questo bisogno è progressivamente calato con la diminuzione di posti di lavoro dovuta all’implementazione delle tecnologie, incluse quelle informatiche che hanno fortemente automatizzato il lavoro, incluso quello specialistico, contribuendo a cambiare di nuovo il volto delle società occidentali. Parallelamente  il relativo livello culturale e le capacità di comprensione di concetti trasmesse da questa istituzione sono diventate scomode in un nuovo modello istituzionale accentratore che si vuole rendere più autoritario. Tutto questo ha portato al ridimensionamento della scuola, che in molti Paesi, ha subito come una mannaia i tagli alla spesa pubblica. La scuola pare quindi più concentrata su obbiettivi laterali e perseguire, guardacaso, una finta inclusività attraverso programmi personalizzati e di recupero improntati a una pesante burocrazia, perdendo di vista quello che è l’obbiettivo principale per tutti: la didattica. In una scuola indebolita da ripetute riforme, dove l’istituzione stessa e i docenti hanno perso di autorevolezza la didattica viene sacrificata facendo spazio alla pura e diretta propaganda politica. Se i libri di Storia avevano già operato censure e modifiche della narrazione dei fatti allineate alle esigenze e agli interessi dello Stato e dei gruppi di potere vigenti in chiave di politica interna e internazionale, la propaganda come spazio didattico dichiarato è invece un elemento ulteriore che si è fatto spazio nella scuola, tradendo il fine non dichiarato di alcune direttive ministeriali che a loro volta sono ispirato a linee sovranazionali. Risulta anche significativo come la scuola abbia trovato un terreno fertile d’elezione per la narrazione e per l’applicazione delle direttive relative all’emergenza Covid, spesso avvertite come estremamente limitanti per le più elementari libertà personali e mortificanti per la socializzazione. A questo proposito è fondamentale sottolineare l’ingresso del tema dei diritti delle minoranze sessuali LGBT e del concetto di fluidità sessuale a partire dagli STtai Uniti d’America. Questo avviene non solo nelle High Scool ma già alle scuole elementari e addirittura a quelle materne. Come racconta un’inchiesta di RealClear Investigations, gli studenti americani, già dalle scuole elementari, oltre a conoscere i pionieri dei diritti degli omosessuali come Harvey Milk o James Baldwin, vengono istruiti sulle donne travestite da uomini nella guerra civile americana, sui cosiddetti “matrimoni bostoniani” fra due donne, sui nativi “two spirit” capaci di incarnare caratteristiche sia maschili che femminili, soffermandosi anche su come le agenzie federali negli anni ’50 abbiano licenziato circa 5.000 impiegati statali sospettati di omosessualità. Argomenti la cui trattazione di per sé non avrebbe nulla di strumentale, almeno se presentati a un auditorio maturo. Tuttavia le cose sono andate ben oltre. Durante l’Equity Week svoltasi negli Stati Uniti, evento che commemora la Marcia Nazionale su Washington per i diritti di lesbiche e gay del 1987  in una scuola materna  nei sobborghi di Chicago, i bimbi di 4-5 anni hanno letto I Am Jazz, un libro illustrato su una ragazza transgender e My Princess Boy, libro, anch’esso illustrato, incentrato su un bimbo a cui piace vestirsi con abiti femminili.  Non si promuovono soltanto letture vertenti sul tema dell’identità sessuale a persone che ancora non sanno neanche che cosa essa comporti, ma sono stata avanzate direttive le cui finalità paiono assurde. Alunni di prima elementare  sono stati fatti esercitare nell’utilizzo di pronomi di genere “neutro”, mentre quelli di seconda sono stati spiegati i  concetti come “gay”, lesbica” e “non binario”. Immancabilmente queste iniziative ha trovato degli oppositori. Secondo molti genitori, infatti, diffondere questo tipo di materiale e di insegnamento nelle scuole, soprattutto alle elementari, equivale a indottrinare i bambini, imponendo loro un lavaggio del cervello allineato con le direttive politically correct operanti. Non mancano poi esperti che si dissociano da questo irragionevole clima di forte omologazione. Un esempio è l’intervento della psichiatra infantile Miriam Grossman, che durante un’audizione del 2011, ha evidenziato come i piccoli alunni potrebbero subire dei danni psicologici dalla propaganda LGBT nelle scuole. “Per i bambini tutto questo è spaventoso, un bambino non è un adulto in miniatura. È nostra responsabilità proteggere i minori nel miglior modo possibile dall’esposizione a fatti ed esperienze che non sono in grado di gestire”. Il Governo italiano, manco a dirlo, ha seguito a ruota l’esempio Oltreoceano, e la sensibilizzazione in aula a questi temi è diventata prassi comune. Il Ministero dell’Istruzione ha invitato i docenti e le scuole di ogni ordine, incluse quindi le scuole elementari, a promuovere il 17 Maggio la giornata contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, promuovendo occasioni di approfondimento con i propri studenti. Scenari simili si hanno nel resto dell’Europa Occidentale.
Tutto questo presuppone che i docenti debbano parlare di omosessualità, bisessualità, transgenderismo e transessualità ad un pubblico infantile che non può gestire delle informazioni che non è ancora pronto a ricevere e che non hanno ancora nulla a vedere con i propri interessi. Si tratta di una propaganda gratuita e coercitiva, che viola il diritto dei minori ad una serena e indisturbata identificazione personale e sessuale, un diritto inviolabile che deve essere rispettato durante l’intera età evolutiva.

Il parere di un grande intellettuale che conosceva la scuola

Pier Paolo Pasolini, prima di essere un acclamato scrittore e regista è stato insegnante di materie umanistiche a scuola. L’intellettuale e artista organizzò nel 1944 una scuola per i ragazzi di Casarsa in Friuli che  non potevano frequentare la scuola pubblica a causa dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale ancora in atto, applicando una forma che successivamente sarebbe chiamata “istruzione parentale”. Le sue lezioni presentavano uno stile dinamico e un interscambio paritario tra alunno e insegnante, in contrapposizioni all’impostazione didattica rigida, gerarchica e autoritaria che si teneva di consuetudine nelle classi scolastiche. Non può infatti esistere un buon insegnamento con un docente privo di un’adeguata capacità di comunicazione ma anche privo di empatia. Pasolini sottolineava che “può educare solo chi sa amare” perché un insegnante deve essere animatore del processo educativo, arrivando provocatoriamente a proporre l’abolizione della scuola dell’obbligo, che lascerebbe le persone ancorate a poche limitate conoscenze senza reale possibilità di elaborazione e sviluppo, affermando che “un analfabeta, uno che abbia fatto i primi anni delle elementari, ha sempre una certa grazia che poi va perduta attraverso la cultura. Poi si ritrova a un altissimo grado di cultura, ma la cultura media è sempre corruttrice”.

Pasolini con i suoi studenti
Pasolini con i suoi studenti

Conclusioni

La scolarizzazione di massa è sorta significativamente con l’affermarsi di una società di tipo industriale ed essa ha da sempre avuto in una certa misura finalità di ingegneria sociale. Da un lato la scuola doveva fare la sua parte per porre le basi di una società di conformisti consumatori interessati acriticamente ad acquistare ben più di quanto servisse e avrebbero potuto desiderare. Dall’altro c’era un’effettiva richiesta di preparare un personale qualificato. Con il venir meno di questa necessità per via delle mutate esigenze del lavoro, la scuola ha perso gran parte del suo ruolo. In linea con i diktat che vogliono la società occidentale costituita da individui appiattiti da un castrante politicamente corretto che ha preso le forme grottesche della cancel culture, essa deve contribuire a formare una comunità scissa e atomizzata, con delle direttive di pensiero contraddittorie che hanno una sola costante: lo sradicamento dell’individuo e l’atomizzazione della società. Senza le interferenze culturali, giuste o sbagliate che siano, delle identità nazionali, sessuali, dei credo religiosi, dell’autorità della famiglia, l’uomo medio perde i suoi punti di riferimento e potenzialmente chi si trova nella condizione di poter indirizzare la società ha il via libera per un sostanziale controllo diretto della mente dei suoi membri, inculcando idee e comportamenti. Facendo una pressoché tabula rasa dei valori tutto diventa comprabile e, appiattendo ogni differenza specifica, tutta la società diventa un’enorme fetta di mercato facilmente penetrabile. Se la scuola, nonostante tutte le ombre che sono calate su di essa da quando ha smesso di essere il luogo di formazione delle élites ma è stata aperta alle masse con le finalità descritte, ha contribuito a porgere utili strumenti per una certa mobilità sociale e ha contribuito a una relativa ma seppur presente diffusione della cultura. Le alternative didattiche esistono ma guardacaso non vengono contemplate dai programmi ministeriali della quasi totalità degli Stati. La scuola massificata si trova sostanzialmente deprivata delle sue funzioni costruttive per abbracciare il nuovo ruolo di strumento utile all’attuazione di un processo di mutamento antropologico, già denunciato da Pier Paolo Pasolini, che si tenta di perpetuare con un’inaudita forza coercitiva e profondità d’azione.

Riferimenti

David Sciuga, La Critica della Civiltà dei Consumi nell’ideologia di Pier Paolo Pasolini, Università degli Studi della Tuscia, Viterbo, 2012

https://www.francescoferzini.com/blog/breve-storia-della-scuola-e-dell-educazione-all-obbedienza

https://www.thesouljam.com/posts/the-ugly-truth-about-the-education-system-you-were-never-told

https://news.yale.edu/2020/01/30/national-survey-students-feelings-about-high-school-are-mostly-negative

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/cos-lideologia-lgbt-penetrata-nelle-scuole-americane-1790177.html

https://www.linkiesta.it/blog/2013/12/aboliamo-la-scuola-dobbligo-scriveva-pasolini-38-anni-fa/

https://www.eretici.org/pier-paolo-pasolini-puo-educare-solo-chi-sa-cosa-significa-amare/

https://www.movimento3v.it/propaganda-lgbt-ai-bambini-no-grazie/

Aula scolastica

 

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David Sciuga

Si è laureato con lode prima in Lettere Moderne poi in Filologia Moderna presso l’Università degli Studi della Tuscia. Successivamente ha conseguito il Master di II livello in Management presso la Bologna Business School. La sua tesi di laurea magistrale “La critica della civiltà dei consumi nell’ideologia di Pier Paolo Pasolini” è stata pubblicata da "OttoNovecento", rivista letteraria dell'Università Cattolica di Milano, ed è tuttora disponibile sul portale spagnolo delle pubblicazioni scientifiche Dialnet. Da giornalista pubblicista ha lavorato per il Nuovo Corriere Viterbese e per diverse testate locali, inoltre è anche blogger e critico cinematografico. Ha collaborato con il festival teatrale dei Quartieri dell’Arte e con l’Est Film Festival, di cui è stato presidente di giuria. Come manager di marketing e comunicazione ha lavorato per STS Academy, agenzia di formazione di security e intelligence. Il suo racconto "Sala da ballo" è stato incluso nell’antologia del primo concorso letterario nazionale "Tracce per la Meta". Successivamente è stato premiato con il secondo posto al Premio Internazionale di poesia “Oggi Futuro” indetto dall’Accademia dei Micenei. È stato moderatore di conferenze di geopolitica dove sono intervenuti giornalisti di rilievo nazionale. L'animal fantasy "Due fratelli" è il suo primo romanzo, pubblicato con la casa editrice Lulu.com, a cui segue il romanzo di formazione "Come quando ero soldato". Collabora con il web magazine "L'Undici". Parla correttamente l'inglese, possiede elementi di francese e tedesco.

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