Fenomeno migratorio cinese: fasi storiche e tipicità

Fenomeno migratorio cinese: fasi storiche e tipicità

Lo scenario di trasformazioni economiche e sociali che nel corso della Storia ha fatto da cornice al fenomeno migratorio cinese

I primi contatti tra il mondo cinese e quello greco-ellenistico

Per capire le origini dell’ enorme impatto che ha avuto, nel corso della Storia, il fenomeno migratorio cinese, bisogna risalire quanto meno all’epoca di Alessandro Magno. In questa fase si sono sviluppati i primi significativi contatti tra Occidente resto del mondo in quello che fu il primo vero e proprio disegno imperialista in senso “moderno”.

Il genio politico e militare di Alessandro Magno fu tale da creare un progetto egemonico dai caratteri multietnici, tanto significativi, da potersi parlare di una prima forma di globalizzazione. Il giovane condottiero macedone arrivò a conquistare, in soli dodici anni, tutta l’Asia Minore, il Levante, l’Egitto, l’India Settentrionale fino ai confini con la Cina. Di lì in avanti andrà sviluppandosi tra i popoli asiatici e l’Occidente un crescendo di contatti commerciali e, di conseguenza, culturali che si vedranno simbolicamente reificati in quella che nel 1800 sarà ribattezzata, dal geografo tedesco Ferdinand Von Richthofen “Via della seta”.

Ci troviamo attorno al 329 a.C  quando Alessandro Magno fonda “Alessandria Eskate”, la più remota provincia del suo Impero situata in quello che è l’attuale Tagikistan al confine, per l’appunto, con la Cina. Sarà quindi il suo ammiraglio Nearco ad intessere una serie di rapporti commerciali, dal delta dell’Indo fino al Golfo Persico, che saranno ripresi e potenziati, durante tutto il periodo Ellenistico e romano, grazie all’apertura di vie commerciali con la Mesopotamia, l’India, la Cina e l’Africa Orientale.

I motivi che suscitarono, in origine, il bisogno migratorio cinese e la diaspora cinese prima della Guerra dell’oppio (1840-1842)

Sulla base di quelle che sono state le relazioni sino-occidentali, possiamo conferire al fenomeno migratorio cinese una razionalizzazione in quattro significative fasi cruciali. Una prima fase, quella del periodo antico e precedente la Guerra dell’oppio, interessa una massiccia emigrazione verso il Sud-est asiatico. Un successiva, che va fino alla Prima Guerra Mondiale, è definita “migrazione della manodopera” ed ha come destinazione principale l’Asia Sud-orientale, le Americhe, l’Europa, l’Africa e l’Oceania. Il periodo compreso tra il 1949 ed il 1978 viene definito dell’ ”emigrazione restrittiva”, poiché l’intervento del governo cinese è fortemente vincolante e volto al controllo severo delle emigrazioni.

In questa fase si avverte come la politica interna di un Paese giochi un ruolo decisivo e determinante nello snodo del suo processo migratorio. L’influenza del governo si avverte anche nell’ultima fase che, con la riforma di apertura, permette una ripresa massiccia del fenomeno migratorio cinese dal 1978 in poi, verso Stati Uniti, Nuova Zelanda, Canada, Australia, Giappone, Gran Bretagna e Francia. Le prime vere esplorazioni, che portarono la Cina fuori dai propri confini territoriali ebbero inizio con la dinastia Qin (221-206 A.C). Secondo antichissime fonti il primo imperatore Qin, Shi Huang, inviò l’ambasciatore Xu Fu e mille altre persone in viaggio per recuperare la medicina dell’immortalità e questi sbarcarono in Giappone dopo un lunghissimo viaggio tanto che oggi, proprio nell’isola nipponica, si erge una statua ad esso dedicata nell’omonimo villaggio Xu Fu. I giapponesi considerano fondamentale lo sbarco dell’ambasciatore cinese presso le loro terre, tanto da ritenerlo uno dei catalizzatori della loro cultura e da adorarlo per secoli come il “Dio dell’agricoltura e dell’erboristeria” .

Questi esportò per l’appunto importanti tecniche curative e nuove specie di piante nel Giappone. Le motivazioni alla base della vera svolta nel processo migratorio cinese non sono da ricercare, come sarebbe logico pensare e come fu per le grandi civiltà della Storia, come per esempio quella fenicia o greco ellenistica, nell’ambito economico, quanto piuttosto in quello strategico e militare. Durante la dinastia Han (206 A.C-220 D.C), infatti, l’imperatore Han Wu, inviò l’ambasciatore Zhang Quian (Chank Ch’ien o Chang Ki Yen) a svolgere missioni diplomatiche nell’Asia centrale. Durante il suo viaggio egli percorse tutto il ramo settentrionale della “via della seta”, dalla provincia cinese del Gansu, lungo il fiume Giallo, fino alle attuali regioni dell’Uzbekistan, Afghanistan, Turkmenistan ed Iran.

Lo scopo della missione diplomatica consisteva nel trovare il modo di arginare la minaccia delle incursioni mosse dal feroce popolo degli Xong Nu, meglio identificabili come i predecessori degli Unni. L’obiettivo dell’imperatore Wu consisteva nel cercare un’alleanza strategica presso il popolo degli Yue Chi, al fine di contrastare la comune minaccia presentata dagli Xong Nu. Si evince dunque uno stimolo prettamente logistico e militare che spinse il popolo cinese dell’antichità a guardare oltre i propri confini. In tredici anni di viaggi il diplomatico Zhang Quian, esplorata l’intera Asia Occidentale, formulò una relazione che diverrà un vero e proprio diario di viaggio e strumento di intelligence sulle cui basi verranno gettate le fondamenta per successive ambascerie presso l’Asia centrale e la Partia( provincia attualmente corrispondente al Nord-Est dell’Iran).

 Dal punto di vista cinese, dunque, il guardare fuori dai propri territori rappresentò, in origine, l’unica possibilità di consolidare quelle alleanze fondamentali per preservare e garantire la propria sicurezza territoriale. Il vero e proprio proliferare di scambi di fine strettamente economico si avrà attorno al 36 a.C, circa, quando la Cina entrerà in contatto con la Civiltà romana. In realtà la “via della seta” può ben definirsi come un processo in fieri che, a partire dalla cultura macedone ed ellenistica, trovò la svolta con l’Impero romano, continuando ad espandersi in seguito ad esso. Se quello di Alessandro Magno fu un disegno egemonico globale, quello dei Romani può ben definirsi come il principio storico della cultura del “melting pot” secondo le logiche di una vera e propria ottica globale. “La via della seta” rappresentò nei secoli, per i contatti tra la cultura cinese e occidentale, quello che ha rappresentato nella nostra generazione l’avvento della web economy.

Una commistione di culture, competenze, lingue ed esigenze economiche si intrecciarono, amalgamarono e, talvolta, scontrarono tra di loro. Il fenomeno si manifestò per terra e per mare ed impose ai popoli di evolversi e migliorare le tecniche della navigazione, massimizzare le dimensioni dei villaggi, aumentandone e migliorandone i servizi, affinare le competenze negoziali e comunicative. Nord Africa, Mediterraneo, India e Cina divennero delle realtà globali multietniche e vennero travolte dal vortice del dinamismo culturale, scientifico e tecnologico. Antiche fonti cinesi testimoniano che fu il popolo dei “Sogdiani”, abitanti dell’attuale Uzbeckistan che, grazie alla “via della seta”, raggiunsero la Cina e vi esportarono la cultura buddista.

Durante la dinastia Tang ( 618-907 D.C) vi furono frequenti scambi; notevoli masse di persone dalla Corea, dal Giappone, dall’Asia Sud-orientale e dall’Asia Occidentale giunsero in Cina e molti cinesi emigrarono verso questi luoghi. Con la dinastia Song ( 960-1279) il baricentro economico cinese si spostava verso Sud ed il miglioramento delle tecniche navali incoraggerà il commercio marittimo, spingendo le navi cinesi a solcare di frequente il Golfo Persico, il Mar Meridionale cinese e l’Oceano indiano. Nella dinastia Yuan (1271-1368) e Ming (1368-1644) l’ingegneria navale fece ulteriori progressi e vennero organizzate sette spedizioni nei mari occidentali, passate alla storia come le sette spedizioni di Zheng He. Ovunque i cinesi siano andati hanno lasciato una traccia indelebile del loro passaggio ed hanno rappresentato un momento di crescita ed evoluzione riconosciuto come significativo dai popoli stranieri con cui sono entrati in contatto. Anche in Malesia, infatti, venne celebrato il passaggio cinese dedicando a Zheng He i templi di Sambao.

Prima della Guerra dell’oppio oltre un milione di cinesi risiedevano all’estero e questi numeri rappresentano il risultato di un lungo processo culturale che ha il suo principio in esigenze diplomatiche, militari e strategiche. La sua maturazione trova testimonianza nello sviluppo di solide relazioni commerciali e scambi etnico-culturali che attraverso la “via della seta” poterono consolidarsi nel tempo.

I viaggiatori cinesi nell’Europa del Basso Medioevo e del Rinascimento

Tra il XVI ed il XVII secolo un episodio particolarmente significativo segnò un momento importante per il processo migratorio cinese: l’arrivo in Cina di Gesuiti dall’Occidente. Al fine di ottenere la fiducia dei cinesi i missionari gesuiti ne impararono la lingua, ne assorbirono gli usi ed i costumi fino a far accettare la propria religione. Guadagnarono il rispetto e la stima di letterati e principi e riuscirono a convertire numerosi cinesi al gesuitismo. Diversi giovani cinesi si appassionarono alle opere classiche e alla cultura latina e greca. I più promettenti di questi vennero selezionati e portati in Europa per arricchire la cultura occidentale e formare nuovi missionari. Lo scambio di idee e conoscenze spinse i nuovi missionari cinesi a rientrare in patria e a fondare, nei pressi di Guangdong, la prima roccaforte gesuita in Cina. Tra i numerosi cinesi in Europa, molti dei quali diventavano aiutanti ed accompagnatori dei padri missionari che li prendevano a loro fianco, vale la pena di ricordare Shen Fuzong. Questi divenne il primo cinese che lavorò formalmente alla biblioteca di Oxford a Londra, con il compito di catalogare i manoscritti cinesi. Convertitosi al cattolicesimo, venne ricevuto dal Re d’Inghilterra Giacomo II e venne invitato da Luigi XIV di Francia a visitare il palazzo di Versailles. Il continuo peregrinare di missionari occidentali nei territori cinesi spinse molti di questi a emigrare in Europa tanto che nel 1732 venne istituito a Napoli, e riconosciuto ufficialmente da Papa Clemente XII, il primo collegio dei cinesi in Europa.

Prima del XVIII secolo, oltre che alle missioni gesuitiche, è importante fare riferimento al ruolo che rivestirono i possedimenti coloniali europei presso i territori dell’Asia; entrambi questi eventi ebbero un ruolo chiave nel processo migratorio cinese verso l’europa. I Paesi Bassi occuparono per oltre 300 anni i territori corrispondenti all’attuale Indonesia e qui vi erano molti cinesi del Guangdong e del Fujian, soprattutto nelle zone indonesiane di Giava e Sumatra. I missionari occidentali ed i coloni si possono dunque inquadrare come i due significativi “ponti” di passaggio delle migrazioni cinesi presso l’Europa nei periodi tra 1500 e 1700. La caratteristica comune che questi migranti avevano è l’essere per lo più tutti letterati e persone di cultura e questo aspetto è fondamentale per comprendere il significato che ebbero al tempo per la nostra società.

Emigrazione cinese fino alla Seconda Guerra Mondiale

Per effetto delle due Guerre dell’oppio (1840-1842 e 1856-1860) si crearono in Cina, soprattutto nei territori del Fujian e del Guandong, delle forze di espulsione che spinsero masse di cinesi a emigrare. Questa situazione di forte disaggio sociale si univa con la necessità di forza lavoro da parte delle potenze coloniali. Il risultato fu che molti cinesi vennero portati in Europa mascherati da lavoratori, ma di fatto erano poco più che schiavi, e molti altri si indebitavano e partivano o si avventuravano in viaggi della speranza. Il malcontento causò molte rivolte interne, quali ad esempio la Rivolta di Società Paradiso e Terra, la Rivolta della Società di Piccole Spade o quella del Taiping. Molti contadini persero la terra e non ebbero scelta se non quella di andare a costituire “forza lavoro” nella madrepatria colonizzatrice, fosse essa Inghilterra o Olanda. Con la dinastia Ming la popolazione cinese nei territori del Fujian, del Guangdong e dello Zeijiang era aumentata considerevolmente, proprio per lo spostamento dell’economia al sud. La partenza divenne dunque, per molti cinesi, l’unica via di scampo dalla fame e le potenze coloniali rappresentavano un’attrattiva notevole anche se il più delle volte l’alternativa era rappresentata da una vera e propria scelta di schiavitù.

L’espansione occidentale in Asia Sud-orientale ruppe il predominio commerciale della Cina in queste regioni; La Francia occupò Vietnam, Laos e Cambogia; Inghilterra ed Olanda le Indie; la Spagna le Filippine e presto anche il Giappone, all’alba del XX secolo, dichiarò guerra alla Cina. Il conflitto sino-giapponese, assieme alle due Guerre dell’oppio misero il Paese in ginocchio. L’Inghilterra aveva ormai preso pieno controllo dei porti e di Hong Kong, mentre il Giappone aveva sottratto ai cinesi Taiwan e la penisola di Liaodong. Questa pressione coloniale portò gli occidentali a creare centri industriali vastissimi in tutta la Cina e a richiamare in patria manodopera cinese, che passò alla storia come la tratta dei “coolies”.

L’atteggiamento, assunto dai quattro governi cinesi che si successero nel periodo compreso tra il 1840 ed il 1949 fu abbastanza aperto, tranne alcune parentesi, all’emigrazione. I motivi di tale atteggiamento sono da rinvenirsi, da un lato nell’enorme espansionismo demografico, che si accompagnava con continue carestie, dall’altro nelle crescenti pressioni degli stati coloniali che abbisognavano di continua manodopera. Tuttavia attorno al 1860 si diffuse la convinzione che bisognasse sfruttare i rapporti con gli occidentali per crescere, consolidarsi e poi reagire cacciando gli invasori. Le politiche migratorie restrittive dell’ultimo periodo della dinastia Quing volevano dare una valida risposta ai timori per il crollo del potere imperialista. L’ascesa del movimento “Yiangwu Yiundong” assunse una politica restrittiva e di chiusura verso l’Occidente, attraverso l’adozione del principio dello ziquiang (auto-rafforzamento). Vennero inviate delegazioni diplomatiche presso Stati Uniti ed Europa per “spiare” i governi occidentali ed apprendere da loro quanto più possibile per poi preparare una rivoluzione. I missionari vennero cacciati e venne avviato un ammodernamento del Paese, affinché si potesse rafforzarne la struttura interna per proteggerlo dagli “invasori esterni”.

Tra il 1911 ed il 1912, stanchi dell’incapacità della dinastia Quing, alcuni cinesi improntarono una rivoluzione che porterà, il 1 Gennaio del 1912, alla fondazione della Repubblica cinese di Nankino con Sun Yat Sen come Presidente provvisorio. In seguito a varie lotte interne il Paese si trovò in un vuoto di potere di cui fecero tesoro i “Signori della Guerra”, che non riuscirono a conferire una valida alternativa al caos. Nel 1928, il Partito Nazionalista cinese, guidato da Chiang Kai-Shek, pose fine al periodo dei “Signori della Guerra” e diede una parvenza di stabilità che durerà fino al 1949 quando verrà rovesciato dal Partito Comunista. In generale, durante i governi della Repubblica cinese, vennero cambiate le politiche di restrizione adottate dall’ultimo periodo di reggenza Quing. In seguito al rovesciamento della dinastia Quing, ad opera di Sun Yat Sen, venne permesso ai giovani di studiare all’estero e ai cittadini che potevano permetterselo di viaggiare liberamente, commerciare e lavorare fuori dai confini cinesi. Durante il suo governo Sun Yat-Sen aveva emanato sue decreti, quello diretto al Ministero degli Esteri ed il Decreto al prefetto del Guangdong, per vietare le tratte dei “coolies” ed aprire dei canali legittimi per far andare all’estero i cinesi.  Di li in avanti i cinesi erano liberi di andare e tornare in patria, viaggiare o cercare nuove fonti di approvvigionamento all’estero.

Con lo scoppio della Grande Guerra i giovani europei vennero chiamati alle armi ed i paesi alleati restarono senza forza lavoro in patria. Vennero così istituiti in Europa ed in Cina dei centri di reclutamento di manodopera da mandare all’estero, affinché gli Stati europei potessero mandare avanti le loro economie, a servizio soprattutto dell’economia bellica, e i cinesi potessero guadagnarsi onestamente da vivere. In Cina il Guangdong Shiwujiu, l’ ”Ufficio degli Affari dei lavori cinesi”, si preoccupava di assicurare gli interessi dei lavoratori cinesi all’estero. L’emigrazione rappresentò per la Cina un momento ed un motivo di evoluzione ed ascesa culturale, nei periodi precedenti le Guerre dell’oppio, e nel periodo compreso tra le due Guerre mondiali. Nonostante gli episodi di schiavismo coloniale si presentò comunque ai cinesi un’alternativa migliore rispetto all’ indigenza e all’inedia sicuramente maggiori in Cina.

Il fenomeno migratorio cinese dalla Repubblica popolare al 1978

 

Con la Repubblica popolare di Cina del 1953 si alternano quattro fasi cruciali del processo migratorio: la restrizione rigorosa, la fase del rigido controllo per il rilascio dei passaporti, la liberalizzazione progressiva, la libertà totale sotto la spinta della Riforma e apertura.

Con la Repubblica Popolare cinese si assiste ad un progressivo trasformarsi del socialismo cinese in una politica comunista. Venne introdotta la pianificazione economica centralizzata, si attuò la collettivizzazione dell’agricoltura e le industrie, fino ad allora situate nelle zone costiere, vennero costruite anche all’interno e per questo fu necessario un potenziamento delle ferrovie. Le cooperative divennero delle vere e proprie aziende agricole avanzate che confluirono nei Comuni popolari. L’espansione produttiva aumentò e la pressione demografica fu tale che, né la mole dell’industria né le riforme agricole, furono sufficienti per gestirla.

Quello che era passato alla Storia come “Grande balzo in avanti” stava mostrando le sue falle e negli anni sessanta il Presidente della Repubblica Popolare cinese, Mao Zedong, si dimise. Il “Secondo balzo in avanti”, avviato dalla presidenza successiva, non fece altro che incrementare i problemi della depressione che ormai aveva attanagliato l’economia cinese ed il malcontento incalzava tra le fila dei lavoratori e degli studenti. Nella fase della politica migratoria restrittiva, con l’intento di concentrarsi sulla produzione interna, era stato vietato ai giovani di andare a studiare all’estero e ai cittadini di ricercare fuori dalla Cina fonti di lavoro e di guadagno. Si pensò così di dare uno slancio all’economia cinese, concentrando su di essa tutte le energie dei propri abitanti, ma così non fu. Proprio spinti dal terrore di un progressivo degrado culturale, i giovani diedero il via nel 1963 al “Movimento per l’educazione socialista”. Da qui si generò un tumulto vero e proprio che sfocerà tre anni dopo nella “Rivoluzione culturale”. L’errore enorme che commise  la Repubblica Popolare del dopo Mao fu senza dubbio quello di pretendere un passo indietro. Si cercò di dare slancio all’economia arrestando quel flusso di condivisione della conoscenza che dall’epoca dei Romani e delle antiche dinastie cinesi aveva vivificato, attraverso la “via della seta”, la cultura e la civiltà della Cina e dell’Europa intera. Questo errore fu come un potente esplosivo che portò alla Rivoluzione culturale anche se, con la morte di Mao Zedong, uno dei suoi più attivi sostenitori, venne soppressa. Altro episodio significativo per i flussi migratori cinesi, fu l’adesione della Cina comunista al blocco sovietico. Quando gli Stati Uniti invasero la Corea, la Cina rispose causando una vera e propria guerra con gli Stati Uniti e ponendo così fine alle relazioni pacifiche con questi.

Di conseguenza, appartenendo per giunta allo schieramento contrapposto alla Nato, la Cina ruppe le relazioni con l’intero blocco occidentale, piombando in un vero e proprio isolamento. Le vecchie pacifiche relazioni commerciali, condivisioni culturali e sociali con l’Occidente sembravano ormai un lontano ricordo. I flussi di conoscenze, arti ed affari economici che erano sgorgati per secoli come un fiume sacro lungo le vie della seta, si erano ormai arenati sotto l’incalzante pressione della contrapposizione ideologica dei due blocchi. Fino al 1978 il governo cinese proibì le migrazioni e qualsiasi forma di contatto con l’oltremare era considerata spionaggio ed alto tradimento. Per effetto della “Guerra Fredda” e della posizione del governo cinese, le politiche migratorie in uscita vennero pressoché vietate, mentre quelle in entrata semplicemente controllate. Questo consentiva ai cinesi che si trovavano all’estero di rientrare e a quelli sul territorio cinese di non potervi uscire. Voler emigrare dalla Cina significava in sostanza un rifiuto indiretto del comunismo e un voler sposare la cultura capitalistica. Ben diversa era invece la situazione di Hong Kong, poiché questa regione rimase sotto l’influenza inglese fino al 1997. Per molti abitanti di Hong Kong significò poter godere dell’opportunità di emigrare liberamente in Europa ed il governo inglese rilasciò tra il 1958 ed il 1965 quasi 9000 passaporti a cinesi.

La regione di Hong Kong rappresentava una peculiarità ed i contatti con la Cina erano pressoché formali. Non mancarono ondate migratorie clandestine dalla Cina ad Hong Kong, come preludio di una futura emigrazione nei territori europei. Molti cinesi emigravano clandestinamente dal Guangdong ad Hong Kong e non lo facevano solo per andare successivamente in Europa, ma anche per poter lavorare e vivere a salari più alti e dignitosi. Si conta che il salario di un contadino di Hong Kong fosse circa di cento volte superiore quello di un contadino del Guangdong. Per via dell’enorme necessità di manodopera del governo inglese, tra gli anni 60 e gli anni 70 vennero concesse migliaia di permessi di soggiorno e carte di identità.

Deng Xiao Ping e la nuova politica di apertura

Con un viaggio dall’alto tenore simbolico, compiuto nella Cina del Sud nel 1992, Deng Xiao Ping annunciava il Socialismo Cinese di Mercato, con il quale dava uno slancio significativo alla politica estera e allo sviluppo economico del Paese. Pur mantenendo un’impronta socialista, la Cina si apriva ai mercati internazionali e si dichiarava disposta ad accogliere capitali stranieri ed a condividere la conoscenza. A differenza delle migrazioni che hanno caratterizzato la Cina fino al 1978, oggi chi parte verso l’Occidente lo fa per rimanere e con tutta la famiglia, creando dei veri e propri stanziamenti e centri operativi in cui impiegare manodopera cinese. Nelle vecchie migrazioni il motivo di fondo era l’antico detto cinese secondo cui “la foglia caduta torna sempre all’albero”. Ad emigrare, prima del 1978, erano principalmente i maschi e lo facevano per trovare un lavoro e mandare sostegno alle proprie famiglie e poi tornare da loro. Le nuove migrazioni sono caratterizzate dalla volontà specifica di creare un vero e proprio insediamento. Questo approccio è favorito dalla politica di apertura che dal 1992 ha posto la Cina in testa al mercato finanziario mondiale. Negli ultimi anni, i prodotti cinesi si stanno contendendo la posizione di leadership con quelli delle maggiori multinazionali occidentali, non da ultimo grazie all’avvento nel 2002 del “CCC”( China Compulsory Certification) che sempre più ha sfatato il mito dei prodotti cinesi economici, ma di bassa qualità, mettendo gli stessi quasi a pari merito con i più noti marchi occidentali.

Anche dal punto di vista politico e sociale la Cina si sta ponendo come una possibile alternativa di partnership europea rispetto agli Stati Uniti. Nei secoli scorsi l’Impero cinese è stato capace di imprimere tracce del suo passaggio in svariate parti del mondo, tanto che ai suoi esploratori sono stati dedicati luoghi di culto, città e monumenti. Oggi, nell’ambito economico, finanziario e dell’industria uomini d’affari, studiosi, esperti e tecnici cinesi sono richiesti dalle migliori aziende del mondo. Grazie alla crescente attenzione che la Cina sta dedicando al perfezionamento e alla diffusione di propri controlli di qualità, i suoi marchi, dall’elettronica, alla componentistica di precisione, si stanno ponendo come valida alternativa di scelta nei mercati mondiali dell’ Hi Teck. Sotto il profilo geopolitico, grazie al crescendo di democratizzazione e alla progressiva perdita di influenza di Washington,  Pechino si sta mostrando in grado, forse, di fare da contrappeso, assieme alla Russia, nella gestione degli affari internazionali. Per ora assistiamo, con prudente ottimismo, senza prevenzioni, ma avvalendoci del saggio principio ellenistico dell’apoké (sospensione del giudizio), alla riapertura di quella che è stata definita dall’attuale Presidente cinese Xi Jinping come “nuova via della seta”.

 

Questo articolo è stato pubbligato sul numero 4/2015 di Eurasia:  “Migrazioni”

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Alessandro Gatti

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