Roma ha un ruolo centrale nel cinema e nello spettacolo in Italia, tanto che questo ha fatto sì che il Romanesco diventasse una
sorta di lingua franca universamente familiare lungo la penisola.
Contemporaneamente durante l’autunno 2021 due voci della romanità vissuta nel quotidiano sono sbarcate su un nuovo
formato, quello delle serie in streaming su internet: Carlo Verdone e Zerocalcare. Il punto di vista su Roma raccontato da due
romani.
La Romanità celebrata nella cultura popolare ha avuto in Carlo Verdone, considerato l’erede cinematografico di Alberto Sordi, il
suo principale alfiere, mentre dall’inizio del XXI secolo ha cominciato a farsi strada il fumettista Michele Rech, in arte
Zerocalcare.
Queste due autori sono sbarcati sul settore dei siti di streaming contemporaneamente: il primo con “Vita da Carlo”, il secondo
con “Strappare lungo i Bordi”.
Se l’attore e regista appartiene alla generazione dei nati negli anni ’50 e ’60 e il secondo a quella degli anni ’80 e ’90 e a quelle
essenzialmente fanno riferimento, hanno dimostrato di arrivare a un pubblico variegato e trasversale.
Se i coetanei di Verdone sono quelli che hanno vissuto il boom economico e i fasti degli anni ’70, ’80 e ’90, quelli d Zerocalcare
sono nati quando questa fase espansiva era alle battute finali, hanno affrontato con successo la transizione dalla tecnologia
legata alle audio e video cassette all’imporsi dei computer come oggetti quotidiani e di internet, per poi dover fare i conti con
una grave recessione economica al momento di dover inserirsi nel mondo del mondo del lavoro.
Eppure questi due autori, pur tenendosi stretto il rispettivo pubblico di riferimento, sanno parlare a più generazioni.
Entrambi hanno dovuto rimodulare la loro cifra stilistica, pur restando fedeli ad essa, per lo sbarco nel nuovo formato.
Una celebrità schiacciante
L’opera verdoniana che ha trionfalmente fatto irruzione su Prime Video è una sorta di docufiction di 10 puntate dove il
protagonista interpreta se stesso in una serie dove si mostra un ritratto verosimile della sua vita in una finzione che vuole però
raccontare la verità. Quello che è un privilegiato assurto a status di leggenda vivente si ritrova a dover stare perennemente
tirato per la giacca: fan, produttori, sceneggiatori egocentrici, mass media onnipresenti, figli difficili da gestire, politici che
vogliono sfruttare la sua fama, addirittura una scorbutica governante… Carlo sembra far fatica a non farsi soverchiare da tutti e
tutto. Uno dei pochi momenti di sollievo sono gli incontri con la bella e premurosa farmacista di fiducia, con la quale instaura
un flirt che però anche stavolta sembra risolversi in una beffa. L’altra faccia di una luccicante medaglia ha il suo scotto, ma per
il povero Carlo sembra non esserci un momento di pace.

Crescere che fatica!
La serie animata tratta dalle strisce fumettistiche semiautobiografiche dell’autore. Riferimento è il libro a fumetti La Profezia
dell’Armadillo del 2011 da cui nel 2018 venne tratto un omonimo film presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Questa
serie torna in maniera più riuscita e ben più apprezzata dal pubblico: quasi immediatamente è prepotentemente balzata al
primo posto tra le serie più viste in Italia su Netflix. Il protagonista è un ragazzo normalissimo che racconta il suo vissuto
quotidiano apparentemente banale ma narrato in maniera divertente e accattivante. D’altro canto proprio il narrare situazioni
comuni al vissuto quotidiano di molte persone per molto facile l’identificazione con il personaggio.
un tema ricorrente è la paura di vedere meno realizzarsi le possibilità nella propria vita con il passare del tempo, termine
indicato dalla malora tedesca intraducibile Torschlußpanik, il “panico del portone che si sta chiudendo”, immagine resa bene
dall’atto di sollevarsi dei ponti levatoi dei castelli medievali, noti grazie a molti film.
Nelle sue piccole grandi peripezie Zerocalcare è accompagnato da Armadillo, un armadillo bipede dalle dimensioni umane
personificazione della una coscienza, e dagli amici storici: la saggia Sara e l’apatico Secco.

Punti di contatto
Se Verdone mostra il punto di vista di un altoborghese e di una leggenda vivente Zerocalcare mostra il quotidiano di una
persona normalissima, che deve ordinare il suo appartamento, barcamenarsi tra lavoretti come le lezioni private e affrontare i
piccoli inconvenienti quotidiani.
Uno con una narrazione più sorniona e l’altr più concitata ma sempre con un’importante introspezione psicologica, entrambi
sono alla ricerca della propria affermazione: il divo vuole liberarsi dalle pressioni asfissianti delle persone che lo circondano, il
ragazzo di periferia vuole dare una direzione alla propria vita.
In entrambe le storie il ruolo di internet e dei social media in particolare trova spazio non solo in quanto elementi entrati
a far parte della quotidianità ma anche perché offrono utili e funzionali soluzioni narrative.
I pensieri e i timori dei due sono mostrati da digressioni che ricordano la serie I Griffin nell’opera animata targata Zerocalcare e
in sogni inscenati nella serie verdolina, gettando un ironico ponte nelle elucubrazioni della psiche dei due.
A loro modo sono due storie di una presa di coscienza che arriva in modo diverso: per Verdone la questione è meno
enfatizzata ma comunque arriva e senza un singolo fattore scatenante, per Zerocalcare è il dover affrontare un evento
particolare e doloroso che lo porta a cambiare sguardo sulla realtà.
Come viene raccontata Roma
La parlata romanesca la fa da padrona, cosa che non stupisce dato che Verdone ha costruito la sua fama dando vita a
personaggi ispirati ai soggetti veraci che incontrava nella vita di tutti i giorni nella capitale, specie nelle periferie. La medesima
scelta, compiuta in maniera ben più marcata e puntellata da espressioni colloquiali in romanesco invece ha acceso delle
polemiche nella critica sulla prepotenza dell’uso del dialetto capitolino nella serie. Come già detto per la diffusione del
Romanesco è stata decisiva la presenza in capitale di Cinecittà: centro nevralgico della cinematografia nazionale, vuoi anche
che si tratta di un idioma locale vicino all’Italiano standard e quindi comprensibile (quasi) completamente da qualsiasi abitante
della Penisola. Molti non sanno che non sempre è stato così: rimo studi cinematografici vennero costruiti a Torino negli primi
del XX secolo e diedero vita a lavori diretti da maestri come Giovanni Pastrano che fecero scuola ai cineasti di tutto il mondo,
inclusi gli Americani, addirittura con kolossal dalla grandi pretese. Tutto questo ora pare qualcosa di irreale: finita la grande
stagione dei maestri che caratterizzarono la Settima Arte dal Secondo dopoguerra agli Anni ’60, sembra quasi che quello che
si racconta in Italia non possa risultare interessante fuori i confini nazionali. Questo da una parte è prosaicamente imputabile
allo scarso peso nello scacchiere geopolitico internazionale che andò a caratterizzare l’Italia e quindi influenzando le
dimensioni della fetta del mercato internazionale a cui i suoi lavori avrebbero potuto ambire, fermo restando che alla potenza
statunitense, in nome del soft power che voleva esercitare, spettava la parte del leone. Al di là di questi aspetti c’è una
questione di non facile identificazione da affrontare ma che forse è connessa a un approccio indirettamente collegato alla
scelta linguistica: una certa autoreferenzialità degli autori. Il descrivere il mondo circostante e le relative dinamiche è
indubbiamente un potenziale punto di forza di un autore ma può anche rivelarsi una la ma a doppio taglio e il confine è davvero
difficile da scorgere. Nella sceneggiatura la tendenza alla macchietta come facile e furba soluzione fa spesso capolino, anche
seppur fugacemente, come se proprio non si potesse far a meno di facili e rassicuranti ganci narrativi.
Un’altra costante delle narrazioni italiane pare essere una certa malinconia di fondo anche quando si
tratta argomenti leggeri e una certa amarezza che fa da retrogusto agrodolce anche alle risate più fragorose, come se
esistesse un comune modo di sentire e raccontare che pare rendere quasi inafferrabili l’epicità e la spensieratezza che si trova
spesso in pellicole statunitensi. Non si tratta di aspetti necessariamente ascrivibili come difetti ma di tendenze che vengono
confermate.
D’altro lato c’è una grande lezione: si può coinvolgere e appassionare non sono parlando di grandi accadimenti ma anche di
piccole cose se fatto nel modo giusto, dando ai racconti colore e vita attraverso calore e trasposizione vivida dei dettagli.
L’unica voce narrante dei Romani che affrontano Roma e la Romanità raccontando se stessi resta quella della classe più
abbiente: se la biografia di Verdone è quella di un grande esponente dello spettacolo e della cultura a sua volta figlio di un
professore universitario di Storia e Critica del Cinema, Michele Rech alias Zerocalcare, nei racconti del suo alter ego dichiarato
omette le sue origini facoltose, come testimoniato dalla sua frequentazione, voluta dalla madre francese della prestigiosa
scuola francese nel cuore di Roma Lycée Chateaubriand. Non proprio un borgataro spiantato che riesce a pagare le rate dell’affitto per
miracolo.
In ogni modo Verdone e Zerocalcare, senza esitare a mettere a nudo alcune delle loro debolezze, si raccontano con
schiettezza parlando al cuore delle persone. E nonostante tutto il pubblico meritatamente li premia.
Riferimenti
https://www.primevideo.com/detail/Vita-da-Carlo/0OOW98OVJYC63HI3IFCU3Z0H5T
https://www.netflix.com/it/title/81304528