Hotel California un ever green di eccessi, paure e speranza

Hotel California un ever green di eccessi, paure e speranza

Hotel California un posto meraviglioso e dannato al contempo. Un luogo mistico, onirico e misterioso. Te ne puoi andare quando vuoi ma ne sarai sempre prigioniero. E’ al contempo l’inferno e il Paradiso. Molte sono state le interpretazioni attribuite al celebre capolavoro degli Eagles Hotel California, composto nel 1976 e appartenente all’omonimo album.           

Cosa, dunque, rende sempre prigionieri e piacevolmente in trappola. Forse è la passione, il proprio destino. La propria missione di vita. Il tutto unito alla paura. Paura di sbagliare, di deludere le aspettative che, nel caso degli Eagles, erano le aspettative del loro pubblico. A questo piacevole privilegio e onore, per qualunque grande artista, si unisce spesso la pressione serrante delle case discografiche, che puntualmente fanno seguito ai successi pregressi. I precedenti album degli Eagles, One of these nights del 1975, raggruppante tre singoli da top 10 ed il loro Greatest Hits avevano letteralmente affascinato e monopolizzato i tabloid musicali americani e mondiali. Dopo il capolavoro Peaceful easy feeling alla band statunitense non restavano che gli eccessi e le droghe oppure, elaborare un nuovo capolavoro.

 

«Eravamo sotto la lente del microscopio.

Erano tutti in attesa del nostro prossimo disco per emanare una sentenza.

Don [Henley] e io sapevamo che avrebbe dovuto essere davvero convincente».

(Glen Frey, chitarrista degli Eagles a Rolling Stones nel dicembre 2016).

 

  Di lì a poco l’anima del fuoriclasse inizierà a sussurrare al chitarrista Don Felder quelle note che segneranno per gli Eagles l’evoluzione da icone della Country music a star mondiali Pop Country.

 

“Ricordo che ero seduto in soggiorno, nella villa che avevo noleggiato a Malibù per stare da solo a strimpellare sull’Oceano. Era una giornata spettacolare di luglio e avevo lasciato le porte aperte.

Avevo addosso un costume da bagno ed ero seduto sul divano ancora gocciolante, fermo a pensare che il mondo era un posto fantastico in cui stare.

Stavo giocherellando con una chitarra acustica a dodici corde; gli accordi di Hotel California vennero fuori in maniera spontanea”.

(Don Felder: intervista rilasciata a Guitar Word nel 2013)

A questo punto la visione dell’Hotel California, come la piacevole trappola della dipendenza da droghe pesanti, che pur nel mondo dello spettacolo se ne consumarono in quantità industriale, poteva lasciare il posto a qualcosa di più profondo. Perché ai fan di un gruppo musicale piace idealizzare i propri idoli; piace vederli come un qualcosa di più che dei tossici intrappolati nelle braccia della dipendenza da stupefacenti.

Ecco allora che l’Hotel California è la paura del fallimento, lo stress estenuante delle aspettative e la tragedia di ogni artista che fa successo: arrivare a comporre non più per se stesso ma per il marketing. Questo è un paradiso, fatto di eccessi, denaro e belle donne, ma è al contempo una dannazione infernale fatta di compromessi artistici e pressioni, volte a produrre ad ogni costo per il solo scopo di qualcun altro nel vendere semplicemente un prodotto.

«Sapevo che era un pezzo particolare,

ma non sapevo se sarebbe stato adatto per gli Eagles.

Era una specie di reggae,

quasi un pezzo di chitarra astratta rispetto a quello che girava in radio allora».

(Don Felder: intervista rilasciata a Gibson nel 2010).

“Te ne puoi andare quando vuoi, ma se lo fai rinunci a tutto”. Pochi attimi e diventi nessuno, quando esci dal giro. Potrai sempre suonare e comporre brani, ma non esisterai più per il tuo pubblico perché produttori e case discografiche avranno puntato su qualcun altro, comunque bravo, ma con il dono di essere più malleabile. Perdere il proprio pubblico, la propria notorietà, il proprio dono di essere un punto di riferimento, con la propria arte per molti, è per l’artista la vera droga. Una piacevole trappola mistica che nel capolavoro degli Eagles ha il volto di una splendida donna, la quale tiene la band statunitense prigioniera nell’onirico Hotel, rappresentato dalla propria passione per la musica.

Ecco dunque che Don Felder prese il suo registratore ed iniziò ad incidere il pezzo, come la sua anima in evoluzione gli suggeriva. Poi prese il basso ed improvvisò una base in armonia con il mixer. Qualcosa di leggermente diverso, da quello che sarebbe poi stato il capolavoro di Hotel California, ma un qualcosa che riaccese l’animo della band e che segnerà la curvatura del successo mondiale verso i confini più remoti dell’ever green.

Dire che un artista crei per se stesso e basta, è come dire che il fluire del tempo nello spazio, l’esplodere della vita dal nulla sia frutto di uno scherzo del cosmo, di una casualità senza senso e di una sorta di botta di culo che sminuisce ogni significato, qualunque esso sia, della vita sul nostro Pianeta.

Hotel California canta al contempo una rinascita ed una dannazione infernale. E’ il paradiso della creatività, ma la tomba dell’esistenza per chi crea per qualcun altro. La maledizione eterna dell’artista che deve sempre riadattare i suoi stati d’animo con le evoluzioni continue del mercato. Hotel California giungeva al vertice delle classifiche mondiali in un momento delicato. Un momento in cui il mercato proponeva e chiedeva ben altro genere, ben altri ritmi e decisamente era assuefatto ad un altro stile. 

Hotel California canta questo disagio, questa paura di fallire miseramente in un mondo musicale che chiede altro ma, si sa, spesso mentiamo a noi stessi. Chiediamo quello che pensiamo di volere, ma abbiamo bisogno di tutt’altro. Hotel California ha dimostrato che gli Eagles, in quel lontano 1976, seppero interpretare i bisogni più nascosti del loro pubblico. Hotel California ha dimostrato che la band statunitense era in grado di andare oltre i bisogni dichiarati, per interpretare l’anima nascosta del proprio pubblico che, fortuna o meno, sembrava essere in perfetta sintonia con quella degli Eagles. Se questo non fu vero marketing musicale, di certo, è stata una magica empatia.

Bibliografia:

  • “Quarant’anni dagli Eagles: Dieci cose che non sapevate sugli Eagles”, Rolling Stone.it, https://www.rollingstone.it/musica/news-musica/dieci-cose-che-non-sapevate-su-hotel-california-degli-eagles/345134/
  • The Eagles Faq, Andrew Vaughan,Backbeat Books, 2015.
  • Eagles, la leggenda del country rock, Sergio D’alessio, Aerostella Edizioni, 2015
  • The Eagles: la lunga corsa. biografia delle aquile, Marc Shapiro, Tarab edizioni.
  • America:rock,misticismo e country, Sergio D’alessio, Capitan Art Ed. 2017

 

 

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Alessandro Gatti

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