Il governo ci controlla ma Edward Snowden resta comunque un criminale che ha tradito il proprio Paese

Il governo ci controlla ma Edward Snowden resta comunque un criminale che ha tradito il proprio Paese

Il governo ci controlla e noi ci lamentiamo, gridiamo al complottismo ma, al contempo, pretendiamo ci venga garantita la sicurezza. Molto brutto ignorare, forse per mentire a noi stessi, che la sicurezza di una nazione richieda un prezzo da pagare. Allo stesso modo di come un vip del cinema o della politica debba rinunciare a parte del suo diritto alla privacy rispetto ad una persona comune, così uno stato sovrano che tenga alla sicurezza dei propri cittadini, che sia nelle facoltà e nel potere di garantire la loro incolumità, deve necessariamente surclassare alcuni di quelli che sono ritenuti essere diritti civili inalienabili.

Il governo ci controlla, non stiamo qui a dire che lo faccia solo ed esclusivamente per il nostro bene, che la CIA sia composta da persone integerrime che perpetrano solo azioni lecite e trasparenti. Spesso dietro alle esigenze di sicurezza nazionale  si celano vicende sporche ed ambigue, fatte di interessi privati, legate alla concussione o alla fame di potere. Forse dietro le violazioni dei diritti civili, perpetrate ogni giorno dai servizi segreti di tutto il mondo, vi sono degli occulti e macchinosi piani massonici volti al controllo mentale e al plagio delle masse, oppure delle esigenze collettive dinnanzi le quali i diritti del singolo perdono quasi totalmente rilevanza. Va inoltre tenuta in considerazione, visto che ogni situazione richiede obiettività ed onestà intellettuale, che l’ intelligence è necessaria per garantire la sicurezza in un paese e che il suo impiego, da sempre nella storia di tutti i paesi del mondo, richiede di passare sopra a mere formalità, mascherate da diritti individuali ed inalienabili della persona.

 

il governo ci controlla, ed è vero, ma Edward Snowden, è altrettanto vero,

ha violato apertamente le leggi del suo paese, mettendo questo in grave pericolo e imbarazzo

diplomatico; ha divulgato dei segreti di stato per il cui riserbo, sicurezza e tutela era stato pagato.

 

 

Edward Snowden, anche se il governo ci controlla, è comunque un traditore e non si capisce il perché Amnesty International si adoperi tanto in difesa della sua causa. Protagonista del recente film di Oliver Stone dal titolo “Snowden” ed interpretato dall’attore statunitense Joseph Leonard Gordon-Levitt, Edward Snowden è un informatico talentuoso ingaggiato nel 2012 dalla CIA per occuparsi di un sofisticato programma di cyber warfare. Il giovane si ritrova così, a partire dal 2013, faccia a faccia con il criptico Foreign Intelligence Surveillance Act che, aggirando il Quarto emendamento, permette ogni tipo di intercettazione, o sorveglianza mediante un semplice lasciapassare di una corte apposita di giudici. Nel corso della trama del film di Stone, la quale riprende fedelmente i fatti cui è ispirata, come si sono realmente verificati, Edward Snowden decide di sottrarre le segretissime informazioni della CIA e di consegnarle ai media di tutto il mondo.

 

Rubando segreti di stato, Snowden prova al mondo intero

che gli Stati Uniti avevano di fatto costituito una sorta di

“Grande Fratello” per il controllo del Pianeta Terra.

 

Snowden mise a nudo la possibilità, quanto mai aleatoria, che il governo degli Stati Uniti potesse attivare segretamente qualsiasi dispositivo elettronico per spiare ogni singolo cittadino, far monitorare conversazioni, comportamenti e tracciare ogni minimo spostamento di ciascuno. Ora, se pur la questione sembri aberrante, ognuno dovrebbe farsi la seguente domanda: Perché mai io dovrei essere spiato dal governo americano? Detto ciò può sembrare accettabile che, nel caso di sospettati di terrorismo, spionaggio, o gravi crimini ai danni della collettività si possano prendere misure estreme come sfruttare le moderne tecnologie per spiare le persone? Francamente ritengo che nessuno della CIA abbia interesse ad entrare a casa nostra senza che vi sia un valido motivo. Questo valido motivo, che altro non è se non la sicurezza nazionale, dovrebbe essere la legittimazione per i servizi segreti ad agire, e con qualunque mezzo possa scongiurare gravi minacce.

Il governo ci controlla, ma non è una cosa d’oggi. Come sapientemente ha osservato il neo-conservatore John Keegan nel suo saggio “Intelligence. la storia dello spionaggio da Napoleone ad Al-Quaida”, lo spionaggio è sempre esistito a partire dall’età della vela fino all’era del digitale. L’autore del più antico manuale di strategia militare di tutti i tempi, Sun Tzu, ha parlato nel lontano VI secolo avanti Cristo, nel suo “L’arte della guerra”, di come le spie fossero un fattore chiave per ottenere la vittoria sull’avversario in guerra.

Dall’alto della sua sapienza orientale, maestro Tzu parla dello spionaggio come di quell’elemento di squilibrio necessario affinché “I vuoti siano trasformati in pieni”. Un’elucubrazione filosofica, ma quanto mai pratica, per dire che in una guerra occorre sfruttare ogni mezzo a disposizione per poter capovolgere a nostro vantaggio la situazione. Senza dubbio in seguito ai più recenti Concetti strategici Nato, in particolare dopo il Summit di Lisbona del 2010, si è sottolineato come il cambiamento epocale dell’era del digitale abbia spostato le grammatiche dei conflitti su nuovi terreni di confronto.

Il fronte climatico, il cyberspazio, il terrorismo psicologico, la finanza, e altre forme di asimmetrie belliche hanno rivoluzionato il modo di concepire e praticare la guerra. Oggi, per le ragioni sottolineate, non si ha più la spia nella forma che si ebbe al tempo del Saladino, ma nella forma di hacker, analisti, contabili, ingegneri, biologi ed esperti in agenti chimici e batteriologici. In questo contesto è inevitabile che quegli strumenti, dalle sofisticate potenzialità tecnologiche, possano essere usati come congegni di spionaggio. Attualmente Snowden è fuggiasco in Russia, dove risiede con sua moglie ed è un ricercato dagli Usa. Amnesty International ha sposato la sua causa ed egli è divenuto un vessillo di democrazia e libertà. Il suo caso è stato trasformato in un fenomeno mediatico, il quale ha offerto un margine ampio per la speculazione ed il marketing; dalle agenzie stampa, alle organizzazioni umanitarie, fino ai “discorsetti” da bar di quartiere.

La verità è che il governo ci controlla perché ci rappresenta, perché la nostra libertà individuale diviene meno di niente dinnanzi al momento di sintesi della collettività che è lo Stato. il filoso Friedrich Hegel chiarisce meglio il concetto parlando dell’idea, simbolo dell’individualità, elemento grezzo e insufficiente a se stesso. L’idea si nega nella realtà senziente, in ciò che è manifesto; il fenomeno. Ecco quindi l’individuo che uscendo e distaccandosi dalla propria famiglia si nega nella società civile. Ad un tratto, però, l’idea ha maturato una formazione evolutiva e torna in se stessa, in quello che Hegel ha definito come lo Spirito assoluto. Quest’ultimo è lo Stato, nella sua più aulica accezione. Momento di sintesi tra l’individuo preso singolarmente e la società civile. la società trova nello Stato il suo più alto momento d’espressione e quelle che sono le esigenze dello Stato sono le esigenze della collettività. il singolo, dunque, al pari dell’idea, assume rilevanza solo ed esclusivamente in quanto parte di una collettività che nello Stato trova la sua ragion d’essere e d’esistere.

 

Perché allora ci ostiniamo a sostenere e pensare che Edward Snowden sia un eroe? Egli è un traditore che ha consegnato alla stampa dei segreti di stato dai quali dipendevano le vite di milioni di persone.

 

Il governo ci controlla ma limitando la nostra individualità ci rende realmente liberi. Finché la massa non capirà il confine tra democrazia e stato di natura non riuscirà a capire la differenza che intercorre tra un essere umano e una bestia.

 

Come si legge nel testo “Intelligence: storia dello spionaggio da Napoleone ad Al-Quaida” di Keegan,

che vuole essere una rapida carrellata storica sullo spionaggio,

la vista è il mezzo più efficace ed immediato di informazione in tempo reale e vi possono essere molteplici sistemi di vedere

o sentire chiaramente quanto sta accadendo.

 

Dall’epoca del telegrafo fino all’era del digitale, passando per la radio, ogni stato ha ricercato il mezzo più efficace per gestire la propria sicurezza. Anche in ambito economico molti stati, tra cui Inghilterra, Usa e Francia, hanno dato vita a centri di studi dove analisti, dalle accertate abilità e competenze, lavorano per escogitare sistemi di tutela e salvaguardia di vantaggi competitivi in ambito industriale e nella ricerca. Questa è per l’appunto una branca dello spionaggio definita “Intelligence economica”. Per uno stato proteggere le proprie informazioni, tra cui i segreti industriali, significa proteggere, tutelare e valorizzare i fondamenti del proprio vantaggio competitivo. 

La concezione di un “grande fratello universale” si è andata affermando, da un lato perché le più avanzate tecnologie informatiche hanno aperto opportunità e margini di manovra per la circolazione dell’informazione inimmaginabili nelle epoche precedenti. Dall’altro è il frutto di un’esigenza nata dalla complessità crescente delle crisi globali. Il terrorismo è il nostro nemico e non si fa scrupoli nell’utilizzare qualsivoglia forma di muover guerra. Gli stessi stati necessitano di modalità avanzate per gestire e controllare le informazioni. Queste, in riferimento alla “Piramide di Antony“, nota nell’ambito dello studio dell’Organizzazione aziendale, costituiscono un’evoluzione dei dati grezzi ed una base per la conoscenza e, quest’ultima, unita ad altra conoscenza, forma la saggezza.

Come conclude John Keeegan, in “Intelligence”, La conoscenza preventiva non ci protegge dai disastri e le informazioni in tempo reale non sono mai abbastanza reali. Rispetto al 2006, anno di pubblicazione di “Intelligence: storia dello spionaggio da Napoleone ad Al-Quaida “, sono passati circa undici anni e la possibilità di ottenere informazioni che realmente siano in tempo reale è divenuta sempre più possibile.

Sempre restando su Keegan, alla conclusione del suo lavoro imperano le seguenti parole, sulle quali vale forse la pena di soffermarsi:

 

“Mentre le nazioni civilizzate iniziano a tracciare la loro vita attraverso la terra desolata di una guerra universale contro il terrorismo senza conclusione prevedibile, possano i loro guerrieri affilare le spade e l’intelligence

renderne più acuto lo sguardo. La capacità di colpire rimarrà infatti la protezione migliore contro le nubi dell’ignoto, del pregiudizio e dell’ignoranza che minacciano di oscurare i principi dell’illuminismo”.

 

Ovviamente queste non possono che essere le parole altisonanti di un neocon, per cui a fare la differenza, intelligence e 007 a parte, sarà sempre la genuina forza bruta. Quel che preme notare, in ogni caso, è il ruolo che per un neocon ha l’intelligence e, non prendiamoci in giro, le amministrazioni americani sono costituite prevalentemente da neocon.

L’intelligence ha il ruolo di svelare le nubi della non conoscenza e di acuire lo sguardo in battaglia. Non si combatte con l’intelligence, ma essa serve per ottenere quel vantaggio competitivo necessario affinché le armi possano servire a qualcosa. Il governo ci controlla, ma il fine è quello della sicurezza in un mondo complesso che richiede di essere flessibili come l’acqua. 

Riferimenti bibliografici:

  • John Keegan, Intelligence: la storia dello spionaggio da Napoleone ad Al-Quaida
  • Sun Tzu: L’arte della guerra
  • Mario Dal Pra, sommario di storia della filosofia
  • Vittorio Emanuele Parsi, Che differenza può fare un giorno: pace e sicurezza dopo l’11 Settembre 2001
  • Oliver Stone: Snowden (pellicola)
  • Luke Harding, Snowden: la vera storia dell’uomo più ricercato al mondo
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Alessandro Gatti

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