lavoro in Italia: giovani in crisi

lavoro in Italia: giovani in crisi

nati tra 80 ed il primi del  90, udite udite:
se non trovate lavoro ed il vostro selezionatore, con la terza media, vi dice che è perché non sapete abbastanza inglese, o perché siete usciti con 110 anziché con 110 e lode, o perché avete tre lauree anziché 6, non dategli retta.

Il lavoro in Italia è problematico, a quanti fra noi giovani, che cercano lavoro in Italia, dicono che il mondo del lavoro è cambiato, che non esiste più il posto fisso, che bisogna essere flessibili.

Non fatevi problemi. Per fare gli impiegati in un ufficio siete già abbastanza qualificati. Unica vostra colpa è quella di essere nati troppo tardi e, al contempo, troppo presto.

In altre parole ci dicono tutti che siamo noi ad essere sbagliati e che i casini che hanno combinato sono in realtà una preziosa opportunità che bisogna saper cogliere. Per molti di loro siamo solo dei “bamboccioni”, che se non lavorano è per colpa di una scarsa capacità, volontà o di poca flessibilità.

Ma vediamo bene cosa è successo, e quello che ci hanno combinato.

Da poco tempo usciti dal secondo, grande e mondiale conflitto, gli Italiani si apprestavano a godersi i frutti della progressiva ripresa. Il Piano Marshall, lo strategico espediente con cui gli Stati Uniti avrebbero via via colonizzato amorevolmente il Bel Paese, stava dando i suoi frutti anche per l’Italia.

Un patto necessario: ritrovare la prosperità dopo due guerre mondiali e garantirsi la sicurezza dalla minaccia sovietica. Gli Stati Europei si sarebbero legati indissolubilmente alle logiche a stelle e strisce ed avrebbero sposato la politica statunitense seguendola, a partire dalla fine degli anni ’40, in qualsiasi sua decisione di politica estera.

Un prezzo più che onesto per ritrovare pace e sviluppo. Se pur stiamo ancora pagando, in termini di giochi forza sullo scenario globale, gli aiuti e la protezione statunitense, quel gesto di sottomissione, obbligato ed inevitabile, comportò per i nostri nonni l’ingresso nel boom economico.
Stiamo parlando dell’ERP, o Piano Marshall, grazie al quale l’Italia era, almeno per una volta, e fin da subito, dalla parte giusta; quella dello sviluppo e della ricchezza.

Nel corso degli anni 50, tutti i nascituri, si sarebbero trovati a godere a pieno dei frutti dello sviluppo economico. Si trattava della generazione dei nostri padri, definita dalla letteratura sociologica come la generazione dei Baby boomers.

Questi figli della ripresa economica getteranno le basi per la rovina della generazione futura, attraverso esponenti politici amanti delle riforme.
Una riforma dovrebbe essere un atto studiato a tavolino e mosso da una necessità concreta. Per dirla con un termine altisonante, caro alla letteratura politologica, la riforma è una issue pubblica. La traduzione dall’inglese, lingua che tanto ci piace per complicare concetti semplici, facendo vedere ai nostri interlocutori che siamo fighi, rimanda alla fuoriuscita di un qualcosa. Pertanto una issue è interpretabile, nel caso della politica, e del governo, come promulgazione, nel senso di emissione. Le issues sono le decisioni, o per esteso le leggi promulgate

Se prestiamo attenzione, a quanto riportato tra le varie traduzioni di Word reference, issue è traducibile anche come sbocco, vomito, sfogo. Sembra un’ironia della sorte, ma quanto fece la classe politica rappresentata dai “baby boomers” furono dei veri e propri sbocchi di riforme legislative.

Siamo nel 1973, durante il Governo di Mariano Rumor con il DPR 1092 articolo 42, viene permesso a impiegati statali di età inferiore ai 40 e 50 anni di andare in pensione avendo versato 14 anni e 6 mesi di contributi.
Questo scempio, la cui logica fu meramente quella di ingraziarsi il favore degli elettori, continuerà fino al 1992, quando la legge numero 421 del 23 ottobre, non farà altro che prolungare l’ignominia stabilendo solo delle limitazioni temporali che fisseranno dei requisiti ultimi per godere dell’opportunità dei Baby pensionamenti.

Arriviamo così alla riforma Dini del 1995 che introdurrà il criterio dell’anzianità contributiva. Il processo di riforma era iniziato già con il decreto legislativo 503 del Dicembre 1992, ed avrebbe previsto il calcolo contributivo per stabilire quando ogni lavoratore sarebbe potuto andare in pensione.

La fregatura è che la riforma prevedeva un tasso di rendimento apparente distinto per coorte. In termini semplicissimi, vennero fatti calcoli per cui chi capitava ad andare in pensione con 18 anni di contribuzione, fino al 1996, avrebbe percepito per tutta la vita una pensione non maggiorata da alcun tasso di interesse, mentre chi fosse capitato ad andare in pensione avendo maturato più di 18 anni, sempre al 1996, avrebbe percepito un tasso di interesse sulla pensione.

Poi si arriverà alla riforma Fornero che, con articolo 24 del decreto legge 201 del 2011, battezzato Salva Italia, legherà definitivamente il sistema pensionistico pubblico al bilancio statale. L’ istituto di previdenza INPDAP venne incorporato nell’ ENPALS e si verificò quello che viene chiamato, al fine di fare in modo che nessuno ci capisca nulla, default previdenziale.

Quest’ ultimo altro non è che il fallimento dello Stato nel garantire ai cittadini, che hanno lui delegato la propria sicurezza e rappresentanza, la tutela pensionistica.

Che grande successo…si è passati dall’ andare in pensione dopo quindici anni di lavoro al non poterci andare più.
A questo si aggiungono le numerose altre leggi e riforme sulla scuola, i concorsi pubblici, e quant’ altro.

Per recuperare soldi lo Stato ha tassato il lavoro, ha messo le imprese nelle condizioni di trovare sconveniente assumere nuovo personale. Sono stati creati i contratti a progetto, sistema perverso per fare in modo che ci sia un turn over di stagisti senza possibilità alcuna di assunzione. Chi svolge un lavoro da libero professionista è incentivato, spesso, a lavorare meno per percepire lo stipendio rappresentato dal risparmio sulle tasse. Hanno creato un sistema per il quale, se guadagni con Partita iva, tra i 6000 ed i 10000 euro l’anno, ti conviene ridurre il lavoro piuttosto che avere un guadagno di pochissimo superiore.

In mezzo ci siamo noi, figli disgraziati di una società malata, i nati tra gli anni Ottanta e primi del Novanta. Noi siamo la Generazione Cavia, quella usata per testare il cambiamento. Siamo uno spartiacque storico, un ponte di passaggio verso le Next generation, quella dei nativi digitali: i nati dal 1993 fino ad oggi.

Forse i piccoletti o i giovanissimi si troveranno ad entrare nel mondo del lavoro quando avranno trovato loco normativo le nuove professioni digitali; blogger, sviluppo di app, sistema delle Start up, gioco del poker on line, coaching e via dicendo. Forse i nostri figli e fratelli più piccoli potranno vedere affermati e regolamentati i nuovi lavori che ora stanno emergendo. Forse quando loro entreranno nel mondo del lavoro, e francamente ne sono ottimisticamente convinto, la situazione si sarà stabilizzata.

Sicuramente le crisi economiche e finanziarie che si sono verificate tra il 1994 ed il 2008 non hanno aiutato la situazione, ma se ci sono Paesi in cui la condizione non è disastrosa come per l’ Italia è perché, forse, tali Paesi hanno saputo gestire meglio il cambiamento. Forse perché alcuni Paesi sono stati favoriti dalle congiunture socio-economiche globali.

Ad esempio la Germania si è trovata, da Stato smembrato e in rovina, ad essere alla testa dell’ Unione Europea. Sono bravi i Tedeschi, ma anche fortunati. Per via delle logiche del Containment Usa, si sono trovati un’ Ue costruita su misura per loro.
Sicuramente, è altrettanto vero, che in altri Paesi le riforme interne sono state più sensate. In Italia sembra sempre che chi venga eletto debba per forza fare qualcosa.

Debba vomitare riforme solo per far vedere che lavora o per ingraziarsi i favori di un lobbismo, che a differenza che nel resto del mondo, opera ancora nell’ombra senza una sensata regolamentazione.

Lo scopo di questo intervento, vorrebbe essere quello di rassicurare coloro che hanno tra i 25 ed i 36 anni. Se quest’ultimi non riescono a trovare un lavoro, per cui 20 anni fa serviva un diploma, non è perché non sanno abbastanza l’Arabo, l’Inglese o il Cinese. E’ solo perché sono i figli sfigati di una generazione disgraziata.

Bibliografia.
– Liotti, “I partiti della Repubblica” dal 1947 al 1994, le Monnier
– Riforma dini e previdenza complementare: http://www.treccani.it/enciclopedia/pensione-complementare_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza)/
– Punti di forza e criticità della Riforma Fornero: http://www.treccani.it/enciclopedia/punti-di-forza-e-criticita-della-riforma_(Il-Libro-dell’anno-del-Diritto)/

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Alessandro Gatti

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